Amedeo Santolini (Bologna)
«Recita la recitazione del Corano»: oralità e performatività del testo coranico

 

Il Corano (Qurʾān) è, secondo la tradizione, parola di Dio, immutata e immutabile. Essa venne rivelata a Muhammad, meccano della tribù Quraysh, con l’intervento dell’Arcangelo Gabriele. Con questo messaggio si intendeva emendare gli errori commessi da ebrei e cristiani nella recezione, rispettivamente, della Torah e dei vangeli.

Nonostante il testo stesso si presenti come monolitico, autorevole ed eternamente valido, la dimensione orale è parte integrante non solo della sua trasmissione, ma del suo utilizzo quotidiano. La radice stessa del nome verbale arabo Qurʾān, q – r – ʾ, trasmette l’idea della recitazione, si riferisce all’atto di recitare. Diversi riferimenti interni permettono di capire l’importanza della vocalizzazione del testo già nell’ambito della prima comunità (per le citazioni si fa riferimento a Il Corano, a cura di Gabriele Mandel, Novara, UTET, 2013): «Non muovere la lingua con esso per affrettarti: certo, a Noi riunirlo e recitarlo. Seguine la recitazione quando Noi lo recitiamo» (Q. 75: 16-18); «Di’: “Credete o non credete: quelli a cui venne data la conoscenza prima di ciò, quando lo si recita cadono prosternati [...]ˮ» (Q. 18: 107-108). Quindi il messaggio coranico può essere pienamente compreso solo se trasmesso attraverso la recitazione: è Dio stesso a prescriverlo. Inoltre, secondo la tradizione, il primo e migliore recitatore (qari) fu lo stesso Muhammad.

L’insieme di norme che regola la pratica recitativa è detto tajwīd. Esso costituisce una vera e propria branca delle scienze coraniche (ʿilm al-Qurʾān). Il termine convoglia l’idea di abbellire, rendere gradevole, piacevole; tuttavia la dimensione estetica è sempre e invariabilmente dipendente dalla intelligibilità della recitazione. Fondamentale è la capacità del qari di mettere in pratica i precetti del  tajwīd rispettando sia il contenuto del testo, sia la sua organizzazione formale (corretta vocalizzazione, durata consona delle pause, capacità di inspirare senza interrompere il flusso del testo rischiando di comprometterne il significato ecc).

La prosa ritmata, le costanti allitterazioni e le frequenti rime rendono conto di una musicalità intrinseca. Tutto ciò è di ausilio alla memorizzazione, dal duplice scopo: in primo luogo la trasmissione per via orale, pratica ancora oggi assolutamente raccomandata, nell’ottica della preservazione del testo; in secondo luogo la dimensione performativa della recitazione, privata o pubblica. Recitare il Corano significa attualizzarne il messaggio, sia nella sfera privata della casa, della famiglia, del vicinato attraverso la preghiera giornaliera (ṣalāt), sia nella sfera pubblica: dalla preghierà del venerdì in moschea alle festività del calendario islamico, dalle trasmissioni radiofoniche alle diffuse gare di competizione, dove i qari si confrontano nel campo della recitazione ideale.