Carlo Bianchi (Brescia)
Archetipi dell’esodo nella Sonata “27. April 1945” di Karl Amadeus Hartmann 

 

Con la Sonata per pianoforte 27. April 1945, Karl Amadeus Hartmann esprimeva le sensazioni provate nell’assistere a una delle famigerate “marce della morte” che i nazisti organizzavano durante la guerra per evacuare gli internati, spesso per trasferirli da un lager all’altro. In particolare, quel giorno, Hartmann si trovò al cospetto della marcia del campo di Dachau, che prese il via in varie fasi nell’aprile 1945 in direzione sud, verso Monaco e il confine austriaco, in un momento in cui tuttavia, essendo la guerra ormai alla fine, regnava più che mai confusione e incertezza sulle finalità di simili operazioni anche fra gli stessi gerarchi. Le “marce della morte” costituiscono il fulcro di un generico fenomeno dello spostamento coatto che trova un momento di particolare intensità quantitativa ed emotiva al tempo della Seconda guerra mondiale, quando viene ad intrecciarsi con due concetti storici di lunga durata giunti a un estremo: il patriottismo, divenuto nazionalismo esclusivo, e il razzismo, che motivò la “Soluzione finale”.

Riguardo alla Sonata di Hartmann, egli testimonia la dolente e interminabile processione nella dedica iniziale, e attribuisce un significato descrittivo e morale alle strutture compositive stesse. Alcuni espedienti hanno precisamente una connotazione antinazista (come le citazioni di melodie ebraiche, inni internazionalisti e canti dei lavoratori comunisti), mentre altri hanno valenze formali e sonore più generiche (ad esempio il topos della marcia funebre, il motivo iniziale della Sonata op. 81a di Beethoven, Les adieux). Intrecciando istanze codificate e universali, tali stilemi esprimono ben più che resistenza e denuncia verso il regime: evocano immagini processionali primordiali di peregrinazione, appartenenza e lotta con le ombre che si configurano come archetipi. La musica diviene così un elemento di quella dialettica fra avvenimento e strutture di lunga durata che si instaurava nel mondo della vita. Non pare a questo punto eccessivo chiamare in causa gli archetipi dell’inconscio collettivo individuati da C. G. Jung proprio in questo periodo e che lo psicanalista metteva in relazione sia con gli sconvolgimenti sociali attorno e durante la guerra, sia con la creazione artistica in generale.

Rappresentativa di una fondamentale condizione di alcuni compositori in questo periodo – i cosiddetti emigrati interni –, la sonata di Hartmann offre metafore dei fatti di guerra caratterizzandosi per un’alta tensione interna. È cioè una di quelle opere che portano a un estremo l’aspetto espressivo e altri concetti musicali dalla spiccata valenza interdisciplinare, che, ritrovandosi anche nelle altre arti, si configurano addirittura come categorie utili per una rilettura storiografica dell’Europa in guerra fra i regimi totalitari. Tali assi concettuali includono tanto le istanze dei domini quanto delle resistenze. La prospettiva diviene infine di antropologia culturale.